Partiamo da un presupposto: Miteni è la causa maggiore del più grande fenomeno di inquinamento della falda acquifera da Pfas. A questi si aggiungono altre sostanze pericolose come BTF. L’inquinamento è sia storico che recente e nasconde incredibili retroscena di speculazione sul nostro territorio.
Responsabilità di un “cortocircuito”
Ma se intervenire su Miteni con pesantezza è più che necessario, altrettanto importante è domandarsi: perchè gli enti e le istituzioni, regionali e non, fino al 2013 sono rimasti inermi di fronte ad una storica realtà contaminante, non solo di Pfas?
Perché hanno dovuto attendere le indagini del NOE per vedere una accelerazione sui temi relativi alla caratterizzazione (che ora è tornata in retromarcia) e ricerche di altri pfas di produzioni meno storiche?
Risulta quindi necessario cercare di capire quale “cortocircuito” impedì di intervenire sul caso Pfas o Benzotrifloruri o comunque sul caso di un’azienda sottoposta a direttiva Seveso, su area di ricarica di falda, al Genio Civile, ad Arpav, allo Spisal e, anzitutto, ai politici della maggioranza, leghista e forza Italia, che erano e sono tuttora al governo.
Sulla barriera idraulica, la batteria di filtri e la sigillatura dei pozzi
Nel 2006 Arpav entrò in Miteni per sigillare i contatori dei pozzi collegati alla barriera idraulica. Entrò anche nel 2007, 2009, 2010 e nel 2013.
Per questo ho chiesto ad Arpav se i suoi tecnici avessero mai denunciato la presenza di una barriera idraulica, con una batteria di filtri, visibile ad occhio nudo, alta 5 metri nel luogo in cui emungono acqua da alcuni pozzi, quelli dichiarati da Miteni al Genio civile nel 2005.
Mi è stato risposto che era impossibile capire se quella struttura fosse una barriera idraulica, con una depurazione insomma, o se all’interno funzionasse per il solo prelievo di acqua da falda. (Da quanto mi risulta, però, per emungimento di acqua non serve la costruzione di un impianto così complesso, la barriera idraulica viene realizzata al solo scopo di protezione della falda, di filtrare l’acqua: perchè mai avrebbe dovuto farlo?).
Allora ho chiesto se almeno avessero richiesto documentazioni che attestassero come e chi aveva costruito quella barriera, qual era il progetto, il potenziamento. Mi è stato detto che l’unica documentazione ricevuta è stata la denuncia della barriera idraulica del 2013. Altro non era mai stato richiesto.
Già questo la dice lunga, perché se leggiamo il documento sopra citato, quello del 2013 di Miteni, possiamo leggere come la barriera sia stata realizzata allineando filtri a carbone forniti nel 2011 e questo già doveva stimolare automaticamente una domanda: perché nel 2011 Miteni aveva dei filtri a carbone?
Bastava leggere forse per interrogarsi?
La relazione ERM
E poi, prima del 2013, era già la relazione della ERM allegata alla lettera di Miteni al Genio civile del 2005, quella che denuncia i pozzi per emungimento, che avrebbe permesso ad Arpav, il Genio o chi per loro, di comprendere che quei pozzi erano destinati ad altro: si parla proprio in quell’allegato di un’opera di contenimento idraulico volta ad impedire la migrazione di potenziali contaminanti! Una relazione che chiaramente cozzava con la lettera di denuncia di semplici pozzi di approvvigionamenti idrico.
La domanda è, quindi, perché Arpav, il Genio e la Regione Veneto aspettano le prime indagini del NOE del 2017 per approfondire le comunicazioni? Perchè anche nella commissione straordinaria Pfas, a fine 2017, il commissario straordinario ed ex direttore di Arpav confermava le tesi di Miteni sull’installazione della barriera idraulica?
La caratterizzazione al palo?
Poi ho chiesto informazioni sullo stato della caratterizzazione del sito, la fase preliminare alla bonifica, di cui nulla più sappiamo di certo, nonostante siano trascorsi 6 anni. Ma su di essa non è stata data risposta. Troppo tecnica e specifica. Non si sa nemmeno se finita o meno, viste le informazioni confuse, date anche in incontri pubblici recenti.
La nuova contaminazione: GenX e C6O4
Infine ho chiesto chiarimenti su analisi di GenX e C604: perché Arpav ha cercato in falda dal 2013 in poi solo dei composti “vecchi”, magari nemmeno più prodotti da Miteni? Avremmo potuto evitare quei 5 anni di attesa per certificare un inquinamento in essere ad opera di Miteni.
La risposta è stata “non c’erano le conoscenze”. Mi sono permessa di ricordare che con la verifica del peso di un composto, fornito dalla stessa Miteni, avrebbero potuto già nel 2013 certificare l’assenza di contaminazione con sostanze di nuovo uso o produzione.
Evidentemente non l’hanno scelto, così come non hanno fatto esami delle acque senza target specifici (Es. Solo Pfoa, Pfos…) ma con la possibilità di ricercare anche in un secondo momento altri composti e derivati. Alcuni lo proposero, ma non venne percorsa la strada.
Tutto questo infatti conferma ciò che da tempo denuncio: il Presidente e la Giunta leghista, che si sono sempre prodigati a dichiarare che l’inquinamento da Pfas è storico e non interessa l’ultima amministrazione, dichiaravano ciò senza averne alcuna certezza, senza aver nemmeno ordinato ulteriori indagini su Miteni.
L’incontro con il commissario di Arpav, quindi, non ha aiutato a fare molta chiarezza, se non a confermare alcune perplessità rispetto a ciò che gravemente emerge nella relazione del NOE. Per questo ritengo sia necessario un ulteriore approfondimento. Perchè temo che dietro a tutto questo vi sia una difficoltà dovuta anche a gravi sottovalutazioni politiche.
Vi condivido anche il comunicato stampa congiunto delle opposizioni, al seguito dell’audizione in seconda commissione del commissario Arpav.
Guarda (AMP), Fracasso, Zanoni (PD), Ruzzante (LeU) e Bartelle (IiC): “Restano dubbi su realizzazione della barriera idraulica e filtri di depurazione”
“Ci sono aspetti che vanno ulteriormente chiariti, soprattutto per quanto riguarda la documentazione relativa al 2013 che attestano la presenza di filtri forniti già nel 2011. Documentazione recepita da Arpav in maniera passiva, senza andare a verificare la presenza e la funzionalità della barriera idraulica. Nel 2005, invece, secondo quanto riferito dal Commissario, Arpav non ne era assolutamente a conoscenza: sulla base delle loro informazioni si trattava di pozzi di emungimento, come comunicato al Genio civile. Resta tuttavia il sospetto, non dissipato, che Miteni potesse utilizzarli già allora come barriera e quindi sapesse che ci fosse una contaminazione in atto. Dalle indagini del Noe emergono documenti che potevano indurre a maggiori verifiche e proprio per la garanzia della credibilità di un ente come Arpav, riteniamo sia necessaria una ulteriore attività di indagine.Le criticità sollevate oggi è le richieste di chiarimento non risposte, non ci consentono di dichiarare che non vi fu alcuna leggerezza nell’affrontare controlli su un sito sottoposto a Direttiva Seveso e causa di gravi contaminazioni passate”. È quanto affermano in una nota congiunta Stefano Fracasso, Andrea Zanoni (PD), Cristina Guarda (AMP), Piero Ruzzante (LeU) e Patrizia Bartelle (IiC) commentando l’audizione odierna del Commissario straordinario Riccardo Guolo sull’inquinamento da Pfas, chiesta dagli stessi consiglieri, per fare chiarezza sugli episodi antecedenti il 2013, evidenziati lo scorso marzo dai carabinieri del Noe di Treviso in una relazione in cui venivano denunciati ritardi nelle operazioni di bonifica.
“Nel ribadire che i monitoraggi del Progetto Giada a fine anni 2000 non riguardavano i Pfas ma altri composti, il commissario ha inoltre confermato che ad oggi non ci sono attività di indagine sugli enti di controllo relativamente agli anni 2000 e che la prima segnalazione fatta da Arpav alla Procura relativamente a Miteni è quella del 2013. Ad ogni modo riteniamo necessario che, al di là delle scelte della Procura, la politica regionale analizzi e comprenda le fragilità che hanno portato al protrarsi di contaminazioni delle nostre falle da parte di Miteni fino allo scorso anno”.
mi sembra un lavoro ben fatto iol tuo . Grazie Cristina
Grazie Luca
Brava Cristina, ottimo lavoro. Per quanto riguarda il Gen x ritengo che l’autorizzazione a trattre i rifiuti olandesi chiami in causa il tecnico funzionario regionale che ha relazionato in favore dell’autorizzazione nella conferenza dei servizi del 2014. Come mai nessuno lo ha chiamato in causa? Sarebbe opportuno che il suo rapporto alla conferenza dei servizi fosse resa nota. La responsabilità di chi sta gestendo di male in peggio il disastro ambientale investe poderosamente l’intero establishment, che annaspa tra complicità e contraddizioni.
Grazie Giovanni!
Mi sembra che sia abbastanza chiaro che la politica sia stata assente e muta, mentre arpav ha chiuso gli occhi e tappato le orecchie. Non mi sembra possibile , ne tanto meno credibile che tecnici specifici e formati, non si siano accorti di nulla, ne abbiano ricercato la documentazione che oggi sappiamo disponibile fin dal 2005. A pensar male il più delle volte ci si azzecca. Continua il tuo lavoro Cristina, la verità prima di tutto.