Caso Pfas: non solo ritardi nella pubblicazione dei dati, ma anche mancanza di coordinamento.
Le analisi sugli alimenti dimostrano quanto siano necessari e urgenti i piani di intervento, ma in questi anni in Veneto si è perso tempo prezioso.
Da imprenditrice agricola nella cosiddetta zona rossa, ho evidenziato la necessità di azioni e a supporto del settore agricolo, proponendo una risposta coordinata da parte degli assessorati regionali che si occupano di agricoltura e sanità, poiché sulla questione Pfas avrebbero dovuto agire di concerto o almeno coordinandosi.
Se prendiamo un altro esempio in Europa, in Germania viene scoperta una contaminazione a Baden-Württemberg e dal 2013 si sono stimanti 644 ettari di terreno a Landeskreis Rastatt e Stadtkreis Baden-Baden, e anche 240 ettari a Mannheim, contaminati da PFAS.
Il Governo e la Regione del luogo hanno avviato da subito azioni quali: l’individuazione di nuove derivazioni d’acqua, l’introduzione di piani per l’agricoltura, con la promozione di determinate produzioni rispetto ad altre, e proposto la bonifica di terreni e falda.
Al contrario, la Regione del Veneto, richieste dalle Mamme No PFAS e da Greenpeace, non ha reso immediatamente accessibili le analisi che dimostrano il danno ecologico che in molti temevamo, come quelle che provano la presenza di Pfas negli alimenti e nell’acqua utilizzati dai residenti nella zona rossa; si è dovuto attendere il pronunciamento del TAR Veneto per ottenere quanto richiesto e dovuto.
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