Pfas: presentato esposto su studio epidemiologico mai iniziato.
Decisione resa necessaria al fine di individuare le eventuali responsabilità politiche dietro la mancata attivazione dello studio epidemiologico.
Dopo le dichiarazioni rese durante l’udienza al processo sull’ex-Miteni da Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità, che raccontò dello studio mai avviato seppure previsto, è necessario che vengano chiarite le motivazioni e le eventuali responsabilità.
Per questo mi sono rivolta alla Magistratura.
Parliamo di uno studio epidemiologico che, coinvolgendo più di 300.000 persone, avrebbe potuto confermare inconfutabilmente il nesso scientifico tra l’esposizione ai Pfas e le patologie a essa oggi riconosciute come riconducibili da parte di studi internazionali e non.
Ma, nonostante il parere favorevole e l’impegno manifestati da parte dei tecnici regionali e dell’ISS, lo studio non ricevette il nulla osta dall’alto e non venne mai attivato.
Quella indagine avrebbe consentito di rilevare il nesso tra la contaminazione da Pfas e l’insorgenza di specifiche malattie, fattore utile alla prevenzione, oltre che di accertare il numero di malati e il peso sanitario dell’avvelenamento da Pfas in Veneto, in capo all’ex-Miteni.
A convincermi della necessità e dell’urgenza di questo esposto sono state le recenti dichiarazioni della Regione Veneto, la quale, replicando alla richiesta di maggiore chiarezza avanzata dalle Mamme No Pfas e ISDE, ha affermato che di attività di approfondimento epidemiologico da parte della Regione non ne sono mancate.
Ma il comunicato stampa della Regione confonde piano epidemiologico con piano di sorveglianza, quest’ultimo pensato per fornire, per l’appunto, una sorveglianza sanitaria alla popolazione senza, però, cercare una relazione causa effetto. Infatti, non valuta incidenza di malattie ma si limita a una raccolta dati.
Peccato, quindi, che gli screening sanitari citati dalla Regione, nonostante il respiro difensivo della sua nota, non abbiano valenza tale da essere paragonati a reali studi epidemiologici.
Le stesse dichiarazioni del dott. Comba, rese in sede processuale, sembrano smentire la tesi della Regione nel momento in cui spiega chiaramente la differenza tra studi per aree geografiche (gli stessi citati dalla Regione nel suo comunicato) e studi epidemiologici veri e propri.
Se dalle Regione non giunge risposta agli atti ispettivi da me presentati o alle richieste delle Mamme No Pfas, sia la magistratura a fare chiarezza su quanto accadde nel 2017, quando l’attivazione di questo importante studio non venne concessa, con le conseguenze che tutti conosciamo.
Indagini super partes sarebbero servite a garantire la tutela della salute pubblica, rendendo evidenti gli effetti della contaminazione e favorendo quindi una più efficace identificazione dei responsabili di questa contaminazione.
Ma ancora una volta a prevalere è stata la scelta di adottare la strategia camomilla: rassicurare. omettere e derubricare aspetti legati all’inquinamento da Pfas.
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