Legge regionale sul Fine Vita: il testo del mio intervento in aula.
PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE 217 SUL FINE VITA
Oggi discutiamo una proposta di legge che ha un compito:
Fornire indicazioni univoche alle ULSS del Veneto affinché sia correttamente valutata la volontà di persone con patologie gravi degenerative e terminali, di ricevere aiuto nel congedarsi dalla vita con l’autosomministrazione di un farmaco.
Questa proposta di legge popolare, avanzata da + di 9000 persone, traduce in una legge regionale la disciplina affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 242 del 2019, intervenuta per risolvere un argomento difficilissimo, che la politica aveva scelto di non affrontare.
E credo sia utile sottolineare come il testo sia conforme a tutte le condizioni e gli elementi definiti con la sentenza in questione.
Per questo ritengo che i paventati aspetti di illegittimità costituzionale non sussistano e in questo modo mi trovo in accordo con la precisa analisi fatta dal servizio affari legislativi del Consiglio.
Non ci sono ostacoli di diritto che impediscano la discussione di questa proposta, procedendo all’approvazione del testo presentato.
Accanto a queste considerazioni, va tuttavia ammesso che…
affrontare questo progetto di legge è politicamente e umanamente complesso: personalmente lo ritengo l’atto più difficile in quasi 9 anni di attività istituzionale;
e lo è perché il tema in sé è uno di quei temi in cui non c’è un bianco e nero universale, ma tante sfumature.
Sfumature che non dipendono solo da fattori esterni, ma dalla coscienza di ogni cittadino e cittadina.
Chiunque, quindi, si senta eccessivamente sicuro della propria posizione, probabilmente rischia di affrontare il tema in modo autoreferenziale, pensando di poter racchiudere in una logica monodirezionale la comunità poliedrica di cui ci preoccupiamo.
Ma chi, come noi, fa politica, ha ben compreso che il nostro ruolo va fortunatamente ben oltre l’autoreferenzialità e deve, per poter dirsi compiuto in coscienza, rapportarsi con la complessità ed i temi etici, anche prescindendo dalle proprie personali scelte o dal pezzo di mondo che sentiamo di rappresentare.
Al decisore pubblico è richiesto di guardare oltre i propri confini, spingendosi a guardare il mondo con gli occhi dell’altro, spogliandosi del proprio ego.
Questo per me è un esercizio difficile ma obbligatorio, un po’ su tutto: lo faccio dentro me anche quando discuto con voi di Clima e cerco di ascoltare e comprendere le posizioni del collega Valdegamberi, lo faccio quando discuto di Caccia e cerco di mediare il mio sentire con quello del collega Possamai, giusto per fare 2 esempi piccoli.
E so bene di riuscirci alcune volte di più, altre meno.
Come immagino anche voi facciate, cerco di guardare oltre me. Sono esercizi quotidiani di empatia e condivisione, quelli che muovono ognuno di noi, coloro che vogliono lavorare per il Bene comune.
Tanto più nei temi etici, l’empatia non può mancare: deve accompagnare le analisi tecniche, legislative e scientifiche.
È l’empatia a generare il rispetto per il prossimo, la capacità d’ascoltare e non solo sentire, la disponibilità al silenzio, per fare vuoto dentro di sé e accogliere le parole, i desideri, le preoccupazioni dell’altra o dell’altro.
Ho cercato di fare mia quest’empatia, questo camminare nelle scarpe dell’altro, a partire dal mio percorso familiare e di fede personale e condiviso. Lì l’ho imparato a chiamare “farsi una cosa sola con l’altra/l’altro” o ancora “Amare il prossimo come me stessa”, una “regola” che ho avuto il privilegio di condividere con tutte le religioni e nella società civile, basata su principi di solidarietà.
Questa regola mi ha fatto rileggere con attenzione ogni dichiarazione dei proponenti, vostra, degli auditi, di esperti, membri di comitati etici. L’ho fatto andando ad incontrare uomini e donne, pazienti, parenti, cittadini che rappresentiamo assieme e che hanno vissuto o proprio ora stanno vivendo l’esperienza del dolore irreversibile e del commiato dai propri cari.
Ma questa regola è anche quella che mi ha fatto rimbombare nella mente un’esperienza che mi hai colpito profondamente. Ricorderete quando a fine 2022 vi tediai con la proposta per prevenire la cronicizzazione di emicrania e mal di testa, vero? In modo sicuramente goffo, vi raccontai, come fosse stato ispirato dall’esperienza condivisa da me ed altri malati di cefalea ed emicrania cronica.
Eravamo arrivati ad un punto così grave di cronicizzazione, da soffrire ogni giorno, senza tregua e, alcuni, con conseguenze gravissime per la propria vita e dei nostri familiari: un giorno ricordo bene che ci siamo detti “non vogliamo che altri soffrano come noi”. E da lì partì la proposta.
Quest’anno la relazione fra me e la mia cattiva emicrania cronica compirà ben 16 anni e, come ho confidato ad alcuni di voi, di anno in anno peggiora.
Al momento ho esaurito le strategie di cura per ridurre il dolore. Ci sono giorni, molti purtroppo, in cui il dolore raggiunge picchi che non riesco a descrivere.
Uno di questi, era il 76esimo di dolore forte e continuo, mi sono fermata, ero sfinita.
Ricordo che non avevo più forze ed in quel momento ho pensato una cosa che mai avrei creduto possibile: ho pensato che avrei preferito finire la mia vita così, perché non ce la facevo più.
L’ ho pensato io, proprio io che soffro un millesimo rispetto a chi ha chiesto di avere la libertà di scegliere.
L’ho pensato proprio io che ero certa grazie alla mia fede e alla mia inesauribile speranza di poter resistere al dolore sempre e comunque, reagendo ad esso e nascondendolo per anni ai più, in attesa di trovare un neurologo con la soluzione giusta, una cura nuova, una terapia alternativa per ridurre almeno l’intensità di quel dolore, o i giorni di sofferenza.
Ripenso a quel giorno, e ai giorni successivi.
Ripenso alle esperienze di fine vita passate nella mia famiglia e di quelle persone con cui ho condiviso questo percorso.
Vedo la mancanza di garanzie medico-scientifiche sull’efficacia di cure palliative per alcune patologie, visto quanto emerso a riguardo dalle audizioni.
Comprendo che la sedazione profonda non può essere garantita come una soluzione universalmente dignitosa, per tutti.
E per questo sento il dovere morale di mostrare empatia: per chi soffre e non ritiene le cure palliative e la sedazione profonda una scelta per sé dignitosa, non può vedere un veto politico che lo obbliga a sopportare e resistere al dolore, nonostante tutto.
Devo affrontare questo tema mettendomi nei panni di quelle persone che soffrono, hanno percorso ogni strada di cura possibile e chiedono di poter decidere di fermarsi, con dignità, invece che con sofferenza, lasciando chiunque altro libero o libera di fare una scelta diversa, che sia la sedazione profonda o le cure palliative, la terapia del dolore.
Nessuno ha amore più grande di Colui che sa rispettare la libertà dell’altro, dice Simone Weil, filosofa e mistica.
Il voto di oggi è per me, quindi, un esercizio di comprensione e unità con chi ci chiede di poter scegliere, accompagnati da istituzioni responsabili.
QUI POTETE TROVARE UN MIO CONTRIBUTO IN VIDEO: https://youtu.be/keu8-1PxU7g
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