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CRISTINA GUARDA CONTRO IL MODELLO VENETO ANTI-MOSCHEE: RISCHI DI EMARGINAZIONE E GHETTIZZAZIONE

 

CRISTINA GUARDA CONTRO IL MODELLO VENETO ANTI-MOSCHEE: RISCHI DI EMARGINAZIONE E GHETTIZZAZIONE

Non ci si può dire orgogliosi di una Regione che approva una norma che dimostra una palese discriminazione religiosa. Mi riferisco alla legge sulle autorizzazioni urbanistiche per i luoghi legati all’esercizio del culto e quelli destinati alle attività formative o di assistenza sociale esercitate da associazioni e realtà legate al culto, legge approvata nel corso dell’ultimo Consiglio regionale.

Qui potete trovare il testo di legge

Il fatto che essa venga definita mediaticamente e pericolosamente “LEGGE ANTI-MOSCHEE” dovrebbe già preoccupare per le palesi finalità: discriminare una comunità religiosa, creando però notevoli preoccupazioni e svantaggi anche per il mondo cristiano (non solo cattolico) e per tutte le altre minoranze religiose. Se interviene con un appello addirittura il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia (qui il link al suo appello), segnalando i ‘pericoli di una limitazione della libertà religiosa’, significa che la cosiddetta “Legge anti-moschee” un problema forse lo crea.

La questione non è più politica, ma etica e valoriale: il tema è il diritto di esercitare la propria fede, riconosciuto dalla nostra splendida Costituzione, naturalmente nel rispetto delle norme di edilizia e di sicurezza attuali. Il problema nasce quando vi è l’aggiunta di ulteriori e severe restrizioni, edilizie e di pianificazione sul territorio, che risultano riconoscere potere di discrezionalità del sindaco competente. Sì, perché sarà il sindaco a dire se la strada di accesso è corretta, ma a sua discrezione; sarà il sindaco a dire se il parcheggio è sufficiente, ma a sua discrezione. E le spese per rispondere a queste osservazioni? A carico dei richiedenti, naturalmente: ma, ad esempio, come sarà possibile per una comunità metodista o protestante, minoranze senza grandi risorse economiche, affrontare ad esempio interventi per ampliare una strada perché viene contestata la sua larghezza? Dovranno rinunciare al luogo destinato per le proprie attività? Vogliamo davvero questo?

Altre novità introdotte dalla legge sono la richiesta dell’uso della lingua italiana (spiegatelo al mondo ebraico o cristiano ortodosso, visto che recitano le preghiere e i canti nelle lingue tradizionali liturgiche) o il referendum popolare per le questioni edilizie.

Nella discussione in Consiglio e non solo, spesso sono stati citati i fatti europei di Parigi e Bruxelles: reagire all’insicurezza è l’impulso, ma sappiamo come il modello presentato nella legge per la gestione urbana dei luoghi di culto sia simile al sistema pluridecennale franco-belga, testimone del fallimento dell’integrazione, perché ha creato isolamento e ghettizzazione.

Mi viene da pensare ai secoli della nascita del Cristianesimo, alle persecuzioni dei Cristiani e a quando i primi luoghi di culto venivano istituiti nelle case, chiamate infatti Domus ecclesiae, mentre i ‘veri’ luoghi di culto pubblici erano i templi pagani del pantheon romano. Solo dopo l’editto di Milano nel IV secolo di Costantino, in Italia si iniziarono a costruire le Basiliche. Mi piace pensare ai fatti della storia come bagaglio esperienziale utile per far sì che discriminazioni e sperequazioni sociali non si ripetano, non per far sì che siano riproposte. Associazioni di volontariato, Caritas e le nostre parrocchie hanno fatto molto in questi anni per l’integrazione, ma noto ahimè che con poco si può distruggere un lavoro eccezionale iniziato fin dagli anni Ottanta.

La legge prevede insomma molte restrizioni edilizie e di pianificazione e del territorio che vengono introdotte ad hoc per allontanare dai centri abitati i centri culturali musulmani, le chiese evangeliche o ortodosse, i luoghi di culto sikh, buddisti eccetera o addirittura vietarli a discrezione dei sindaci.
Ma il fatto gravissimo è che indirettamente la legge colpisce anche le chiese cattoliche e le canoniche future, i luoghi della parrocchia, le scuole di formazioni legate al mondo cattolico, i seminari, le sedi CARITAS, degli SCOUT, dell’Azione Cattolica e via discorrendo: sì, perché una legge urbanistica speciale che pone vincoli anche a luoghi di servizio alla Comunità ci dice quanto essa sia politica, fatta per rialimentare l’odio di tante campagne elettorali leghiste sul territorio a cui abbiamo assistito in questi anni, invece che per affrontare con serietà i temi dell’integrazione, del controllo e della sicurezza, valorizzando l’interazione con la parte produttiva, propositiva e dialogante di tutte le realtà della nostra Comunità, fatta anche di stranieri di ogni cultura e fede.
Proprio in occasione delle audizioni delle comunità religiose a proposito di questa legge, tutte le rappresentanze religiose hanno ripetuto a gran voce la richiesta di creare un tavolo di confronto fra le diverse realtà di culto presenti in Veneto e la politica, così da condividere un progetto comune di integrazione e controllo anche per garantire trasparenza culturale e politica. Ad oggi l’invito non è stato ancora accolto dalla maggioranza.

Il proponente, il consigliere Montagnoli, ha ribadito la valenza urbanistica del provvedimento: «L’obiettivo è conciliare libertà di culto e garanzie per la comunità. Le nuove regole consentiranno ai sindaci di pianificare il sorgere degli edifici di culto in aree specifiche dotate di strade, parcheggi, servizi sanitari e condizioni di sicurezza. Basta con l’abusivismo pseudoreligioso negli scantinati e nei capannoni dismessi».
Gli ricordo che conciliazione e divieto sono parole che non possono stare insieme, che le aree di culto dotate di strade e parcheggi sono un problema anche di tante nostre chiese attorniate dalla selvaggia cementificazione veneta e che l’abusivismo pseudoreligioso lo ha conosciuto anche il Cristianesimo, quando non poteva costruire chiese. Inoltre ricordo che non più di un mese fa si discuteva una singolare mozione per ‘mantenere in Consiglio il Crocefisso’: in quell’occasione molti consiglieri si strapparono le vesti per difendere un simbolo della tradizione veneta, della cultura cristiana che ci contraddistingue e che, preciso, dovrebbe essere manifestazione di unità, amore reciproco, pace, accoglienza, aiuto agli ultimi.Ecco, a distanza di un mese, ci si dimentica questa grande passione per la cultura cristiana.

Quindi da oggi la legge stabilisce vincoli urbanistici solo per alcuni, impone l’italiano obbligatorio e consente il referendum dei cittadini, permettendo ai futuri sindaci, a suon di disuguaglianze, di cavalcare argomenti populistici per fare campagne elettorali. Questa legge fa tutto questo snobbando la richiesta di una revisione e di un confronto del Patriarca di Venezia, che intanto promuove un tavolo interreligioso tutto veneziano, proprio per promuovere il principio interreligioso ed etico della fratellanza. Nel frattempo attendiamo le mosse della Corte Costituzionale, che recentemente ha già bocciato per incostituzionalità una legge simile in Lombardia .

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