AIDS: meno diagnosi significa meno casi, ma il virus serpeggia.
L’emergenza Covid sta bloccando la diagnosi; se si sta registrando una diminuzione del numero di infezioni da HIV è perché sono diminuiti i test eseguiti.
Vi è un diffusa preoccupazione che serpeggia all’interno della comunità scientifica, infatti molto ritengono che le restrizioni imposte a causa del Covid possano aver impedito o scoraggiato molte persone ad effettuare il test. Durante l’anno della pandemia di COVID-19 vi e stato un calo delle nuove diagnosi HIV di circa il 56% rispetto ai tre anni precedenti.
Questo è un grosso favore che noi facciamo all’AIDS, perché gli consentiamo di diffondersi sottotraccia. Purtroppo
emerge come un numero sempre maggiore di pazienti si presenti tardi alla prima diagnosi di sieropositività, ovvero in una fase già avanzata di malattia con un quadro immunologico compromesso e spesso già in AIDS.
Questo implica conseguenze rispetto al tema comorbidità, l’aumentata possibilità di contrarre ulteriori patologie.
La comorbidità comporta maggiori rischi alla salute dei pazienti e, come è stato dimostrato, in presenza di comorbidità multiple i rischi e i costi di gestione dei pazienti crescono.
La questione non si pone solo in riferimento alla presenza del virus del Covid19, ma anche di patologie più comuni, come il diabete mellito, sempre più presente nella popolazione HIV positiva e spesso sotto-trattato e poco aderente agli standard di percorso previsti.
Bisogna quindi progettare nuovi modelli di cura per i pazienti HIV che hanno delle
comorbidità, integrando la gestione dell’HIV e delle comorbidità all’interno di percorsi di cura cronica standard gestiti dagli infettivologi.
Per questo ho sollecitato la Giunta a reagire, sia nella prevenzione che nella presa in carico.
Tutto ciò implica ripercussioni importanti anche sul nostro sistema sanitario, poiché uno stato avanzato della malattia richiede anche cure molto più impegnative.
Dobbiamo invece impegnarci a migliorare la consapevolezza sul grado di diffusione dell’infezione e sulle eventuali conseguenze, anche in termini di salute pubblica.
Non possiamo rimanere indifferenti ai dati relativi alle fasce con il maggior numero di nuove infezioni: sono i 30-39enni i più colpiti, seguiti a ruota dai giovani di età compresa tra 20 e 29 anni.
E’ necessario investire in campagne di prevenzione, anche a livello regionale, oltre a rendere più accessibile il test, anche con iniziative al di fuori dei presidi ospedalieri.
L’AIDS rimane una pandemia che ci riguarda a livello globale, ma i Governi sembrano dimenticarsene spesso.
Nel 2019 sono stati spesi 1.917 miliardi di dollari in armamenti, ma investiamo molto meno nella protezione delle persone da rischi più impellenti.
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